venerdì 24 maggio 2013

I castighi di Dio: Giustizia e Misericordia



I Castighi di Dio: Giustizia e Misericordia

 

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Luca Giordano (1632, Napoli - 1705, Napoli) “Cristo scaccia i mercanti dal tempio”, metà anni 1670, Olio su tela, 198x261 cm, State Hermitage Museum, St. Petersburg

 

Il tema del Dio “giudice”, per quanto obnubilato dalle omelie nelle nostre parrocchie, sopraffatto dalla cultura del “volemose bene” ha sempre suscitato interesse nel corso di tutta la storia. E’ invero, una materia di difficile trattazione, resa ancora più ostica a noi moderni, intrisi fino al midollo della suddetta assuefazione al lassismo, continuamente rassicurati dal ricordo di una malintesa infinita misericordia, che prescinde dall’altro elemento cardine e “costituente” di Dio: la perfetta giustizia.

Parlarne oggi, significa inevitabilmente evocare suggestioni “medievali”, di flagellanti, di penitenze quasi incredibili, un rigore e di un “timore” inteso come paura e assoggettamento a una specie di forza superiore punitrice.

Un concetto scomodo per chi, figlio della ribellione sessantottina, ha rinnegato l’essenza stessa dell’autorità, figuriamoci che l’autorità per eccellenza, Dio, si “permetta” addirittura di chiedere conto del comportamento umano a livello individuale e collettivo.

Non essendo possibile in questa sede una disamina generale, dopo una necessaria premessa, si procederà analizzando una parte ancora piuttosto inesplorata della questione: quella che riguarda il rapporto tra la colpa individuale e il peccato cosiddetto “sociale” e in che misura e per quale scopo intervenga il castigo collettivo.

Non può essere sfuggito, neppure al più occasionale frequentatore di parrocchie come, da almeno un secolo e mezzo, si siano susseguite apparizioni mariane –approvate e presunte –aventi per messaggio pressoché unanime l’invito alla conversione volta a scongiurare un altrimenti inevitabile castigo.

Tutta la religione cattolica, si può ben dire, prende le mosse dal concetto di colpa-espiazione-restaurazione. Volersi burlare di questioni come il peccato originale e attuale significa né più né meno distruggere le fondamenta stesse del cristianesimo, essendo Cristo il “Redentore”. Se si elimina il peccato, da cosa ci avrebbe dovuto salvare Nostro Signore? Forse dalle malattie, dalla fame e dalla “disparità sociale”? Beh, con il dovuto rispetto questa risposta fa un torto o alla nostra intelligenza o alle capacità di Gesù. Dove sarebbe questo tipo di salvezza? Mai come oggi l’iniquità sociale dilaga: possibile che dopo più di 2000 anni il sacrificio del Figlio di Dio abbia prodotto questo risultato, se il fine fosse davvero questo?

Naturalmente la verità cattolica rivendica ben altre istanze, che un secolo così mondanizzato come il nostro non riesce, non dico ad accettare, ma neppure a intravedere.

Le piaghe che suscitano al contempo lo sdegno e la compassione divina non sono quelle visibili come le malattie, l’indigenza, neppure la morte fisica. Queste sono infatti solo la “punta dell’iceberg”, causate in modo diretto o indiretto proprio dal vero cuore del problema: il peccato.

Dio essendo Intelligenza somma, vede con una precisione inarrivabile le cause e le conseguenze devastanti anche del più piccolo peccato veniale. Come un’aquila che coglie il sassolino sulla montagna che col suo impercettibile spostamento causa una valanga inimmaginabile, o come il medico che con occhio esperto e strumentazione sofisticata individua il male alla radice e le sue propaggini.

Questa dilazione non deve illudere alcuno: Dio non si presta nel modo più assoluto ad “abbonare” alcunché, altrimenti risulterebbe profondamente ingiusto verso chi si è astenuto sempre dal male e avrebbe ragione lo zelo amaro del “figlio maggiore” della parabola del Padre Misericordioso. Se è vero, infatti, che Dio può disporre dei suoi beni come vuole, è altrettanto vero che non getta le perle ai porci. Prima di riabbracciare il figliol prodigo aspetta quell’embrionale moto di contrizione che attira l’immediato abbraccio paterno. Tanto basta, agli occhi di Dio, ma non è opzionale: il perdono si ottiene unicamente attraverso l’umiliazione e il riconoscersi peccatore. Se questo avviene, i più grandi miracoli e dispiegamenti di grazia sono possibili. Persino il buon ladrone, nell’ultimo istante di vita può rubare il cielo attraverso questo duplice sguardo alla propria miseria e alla divinità di Gesù.

Se il medico fosse stato più “pietoso” –ad esempio se Dio avesse risparmiato al ladrone la condanna e la morte –forse avremmo un santo in meno in paradiso e un delinquente in più all’inferno. Questo prova che Dio suole castigare chi ama e chi vuole salvare, per quanto dura questa verità sia da accettare. A nessun infermo piace il sapore della medicina, eppure come si giudicherebbe il dottore che non somministri, per questo, l’antidoto che conosce e possiede?

Abusare della misericordia divina servendosene per radicarsi maggiormente nel male attraversp (s)ragionamenti come: “tanto Dio perdona sempre, tanto l’inferno è vuoto” è più grave dei peccati stessi che si vogliono così scusare. Non a caso “presumere di salvarsi senza merito” è annoverato dal catechismo tra i peccati “contro lo Spirito Santo”, esattamente al pari dell’opposto, cioè disperare della salvezza. Sono entrambi gravissimi torti verso Dio: nel secondo caso lo si ritiene non “abbastanza buono” ma nel primo addirittura si usa della sua bontà per offenderlo più a cuor leggero ed è un peccato ignobile e vile che purtroppo oggi viene spacciato addirittura per alta teologia. Che cosa penseremmo se ci regalassero qualcosa di estremamente bello e prezioso e ci si servisse dello stesso regalo per fare del male al donatore?!

Il termine stesso, “castigo” viene dal latino “castum agere” cioè letteralmente “rendere mondo”, “purificare”. Basterebbe riflettere sull’etimologia per comprendere come lo scopo più comune e principale del castigo sia correggere un comportamento deviato e insegnare a non ricadervi. Un genitore insegna al bambino, ancora inconsapevole delle conseguenze di certe sue azioni “spericolate”, come astenersene anche attraverso i castighi, laddove i richiami e altri metodi hanno fallito. Lo stesso fa con noi il Padre celeste: il peccatore, sordo ad ammonimenti più “blandi” va talvolta rimesso in carreggiata solo tramite uno scossone.

Il problema si complica però a causa di due circostanze su cui si riflette, se possibile, ancora meno.

Il gesto in sé viene perdonato, tuttavia ogni peccato accumula un “debito” con la giustizia divina, essendo offesa infinita perché l’oggetto, Dio, è appunto infinito.

Al giorno d’oggi siamo abituati a ricevere in confessionale penitenze che definire blande è eufemistico: qualche pater ave gloria, nei casi più zelanti forse una corona di rosario. Senza entrare nel merito specifico (solo il confessore, per mezzo della virtù della prudenza sa cosa è meglio: probabilmente se aumentasse la penitenza, si potrebbe rischiare che molti non l’assolvano adeguatamente) si vuole però sottolineare come questo perdono “facile” possa, su diverse coscienze già deboli, ingenerare l’equivoco per cui il peccato, in fondo, è cosa di poco conto se si “rimedia” con così poco.

Per dissipare un simile, terribile inganno, basta rimirare il crocifisso. Ecco cosa provoca il peccato, ecco cosa è servito per lavarlo: il sangue divino fino all'ultima stilla.

E’ solo grazie a quel sacrificio di valore infinito che noi ce la “caviamo” con un pater ave gloria. Perché c’è chi ha pagato il prezzo pieno, anzi oltre ogni misura in nostra vece.

Approfittarsi di questo scudo è adempiere la volontà di chi lo ha versato: ogni cristiano, nel sacramento della penitenza, lo invoca e se ne riveste quale condizione per presentarsi senza tremare alla Comunione. Approfittarne però con malizia, per continuare a peccare tacitando rimorsi di coscienza è commettere un gravissimo sacrilegio.

 

Il secondo elemento, che è pressoché estraneo al cattolico della domenica (e ahimè, anche alle omelie domenicali…), ci ricorda di come il peccato abbia non solo una dimensione individuale, bensì anche sociale. L’uomo non pecca sempre da solo: uno scrittore che pubblichi un libro immorale oltre alla colpa personale, si addossa anche la responsabilità gravissima di aver usato il suo talento per diffondere nozioni o suggestioni negative e dunque si addossa una parte del debito di chi compierà peccati sotto l’influsso della cattiva lettura.

L’uomo che non sia un eremita vive a stretto contatto con una gran quantità di suoi simili e pertanto può essere connivente nel male o, al contrario, agevolare l’azione della grazia attraverso una parola buona, l’esempio ecc.

Questa dimensione è precisamente il motivo per cui, oltre al giudizio particolare che ogni anima deve affrontare al momento della morte, si avrà un giudizio universale alla fine del mondo. Due sono, infatti, le dimensioni del bene e del male: entrambe saranno punite o premiate a tempo debito.

Ora, dopo aver passato in rassegna questi fattori, proviamo a trarne le conclusioni logiche, applicandoli alla società presente.

Vediamo da vicino però come agisce Dio: manda una simile Madre per avvertire gli uomini prima del castigo minacciato, proprio per indicare come evitarlo (la consacrazione della Russia al Cuore Immacolato, in questo caso) e per descrivere dettagliatamente cosa aspetta in caso contrario.

In pratica è come presentarsi a un esame con un professore che ci ha già suggerito in anticipo le domande e dettato le risposte! E questa sarebbe quella che viene dipinta come la mano implacabile della giustizia divina…?

Purtroppo gli auspici celesti non sono stati accolti dall’umanità neppure dopo che i fatti predetti con tanta precisione si sono verificati puntualmente, e se il castigo appare ancora sospeso dopo tanti decenni di corruzione silenziosa, c’è da tremare al pensiero di cosa può avvenire se un Dio tanto buono “esita” a chiedere di saldare il conto.

Tuttavia questo salutare timore si accompagna alla gioiosa certezza che tutto si compirà affinché trionfi finalmente, come promesso, il Cuore Immacolato. La tribolazione del castigo è assimilabile alle doglie del parto: sono funzionali alla nascita di un’umanità migliore.

Il castigo collettivo non è uno spauracchio “nostradamico”: la giustizia di Dio potremmo definirla come l’estrema manifestazione della sua misericordia. Quando nulla più vale a rendere il lume della ragione e della fede ad un’umanità resa cieca e sorda dalla sempre più fitta coltre dei propri peccati, la sola bordata capace di squarciare questo velo che impedisce il ricongiungimento a Dio è un castigo portentoso.

Perché Dio dovrebbe riserbarlo alla nostra generazione? Perché laddove la colpa sociale cresce in maniera così esponenziale, la responsabilità individuale, al contrario, cala.

Infatti le due componenti sono inversamente proporzionali e vorrei dimostrarlo con degli esempi concreti che avvalorano questa tesi.

Sappiamo che per parlare di peccato mortale si necessitano tre elementi: la materia grave, la piena avvertenza e il deliberato consenso.

Ora, per quanto Dio abbia senz’altro impresso nell’animo umano una legge naturale e una sorta di “istinto” per discernere il bene e il male, è innegabile che il contesto, gli insegnamenti ed esempi di famiglia e società incidono, d’ordinario, profondamente nell’esperienza e nella conoscenza delle cose.

In un contesto di società cristiana o di famiglia devota, è evidente che si ha una responsabilità individuale molto alta e dunque anche un peccato lieve merita un certo rigore perché “a chi è più dato più è richiesto”.

Nel nostro tempo molti sono nati in una situazione già gravemente compromessa dal punto di vista religioso: ricevono dalla famiglia un’immagine di amore a tempo “determinato” a causa del divorzio (che idea possono farsi, queste giovani anime, dell’amore infinito di Dio senza una grazia speciale e infusa?), le domande riguardanti la fede spesso restano senza risposta a causa dell’incuria di gran parte del clero che anzi a volte con la sua condotta esecrabile anziché dissipare le tenebre ed essere luce e sale del mondo, disonorano la loro altissima missione e aggravano ulteriormente la confusione. Tutto, intorno a noi concorre a perdere la fede.

Ecco allora che un atto di virtù un tempo “ordinaria” in simile tempesta assume dei contorni e quindi dei meriti, eroici. Allo stesso modo anche delle azioni nella sfera della “materia grave” possono recare attenuanti date da una non completa avvertenza.

Ecco allora che Dio per salvare una generazione così traviata al punto da non sapere più distinguere il bene dal male non ha altro mezzo che un castigo collettivo.

In quest’ottica rifulge la grande lungimiranza di Dio che infligge un male minore (una tribolazione nel tempo) per ottenere un bene maggiore (la salvezza per l’eternità).

Possano queste semplici righe fare chiarezza sulla tanto bestemmiata Giustizia, troppo, troppo spesso opposta alla Misericordia: la Giustizia di Dio, anche nel caso più rigoroso, non è mai paragonabile all’essere abbandonati all’ingiustizia degli uomini.

Questi errori sono stati condannati a più riprese da innumerevoli concili e pronunciamenti ufficiali pontifici, eppure ciclicamente tornano ad insidiare il calcagno delle nuove generazioni di cristiani, sommamente la nostra, che ha deposto la corazza degli insegnamenti e della tradizione che ci mettevano in guardia e ci istruivano contro queste piaghe.

Rivestiamoci di queste armature e vivremo al contempo nella consapevolezza di quanto meritiamo e nella consolazione di invocare Colei che trionferà nonostante qualsiasi dispiegamento di forze infernali e, ancora una volta schiaccerà il capo del nemico di Dio e dell’uomo.

 

 

 



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